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IL PROFESSORE


di Foro_Romano
07.01.2016    |    32.699    |    6 9.6
"C'è un'altra cosa che dovrei dirle"..."
Non gli era mai capitato. In tanti anni di insegnamento all'università non gli era mai capitato. E nemmeno prima, quando era studente e poi associato. Mai. Tutto doveva succedere proprio adesso, a 53 anni compiuti.
Stava tenendo la prima lezione ai nuovi studenti del primo anno; alle matricole, insomma. Quando lo vide, nel buio dell'aula, laggiù. Eppure sembrava che quegli occhi, nascosti nella penombra, lo stessero ipnotizzando. Cercava di continuare a parlare, a seguire il filo del discorso, ma spesso si inceppava. Cercava di non guardarlo, girava la testa altrove o verso lo schermo sul quale si vedevano le immagini illustrative del suo corso. Ma niente, tornava sempre lì, nella direzione di quei due punti quasi in fondo alla sala. Lo avevano ammaliato.
Finita la lezione quel ragazzo, poco più che diciottenne, era uscito, assieme a tutti gli altri, passandogli abbastanza vicino. Gli aveva rivolto uno sguardo che gli sembrò strano. Forse si era accorto di essere stato fissato ripetutamente da quel professore certamente più vecchio di suo padre.
No, non poteva essersene accorto. O forse si? Piuttosto era lui, il professore, a non capire che gli era preso. Che cosa aveva quel ragazzo di diverso dai tanti che, negli anni, lo avevano preceduto. E' vero, aveva due occhi meravigliosi: limpidi, sereni. Si poteva dire che trasmettevano l'innocenza infantile ma, nel contempo, avevano un non-sò-che di erotico, di perverso, che andava ben oltre un semplice desiderio adolescenziale.
Quegli occhi, benché lontani ed avvolti dall'oscurità, gli avevano smosso qualcosa dentro, qualcosa che riaffiorava nei ricordi della sua adolescenza, qualche desiderio represso del quale non si ricordava più.
Trascorsero i mesi e, lezione dopo lezione, rivedeva sempre quel ragazzo e sempre sentiva dentro di sé quel disagio. Con la moglie i rapporti si erano spenti da tempo: fatti raramente e quasi a giustificare i doveri coniugali. Possibile che quello studente andasse a scalfire, col semplice sguardo, la sua sessualità indiscutibilmente etero? O si trattava di altro? Ma cosa?
Alla fine di una lezione successe qualcosa di quasi incredibile. Quel ragazzo, proprio lui, gli si avvicinò. Gli disse che aveva delle difficoltà a capire alcune cose, che ne aveva compreso il senso generale ma non la loro valenza, come si potevano applicare. Quegli occhi! Per tutto il colloquio erano fissi su di lui, lo stavano distruggendo.
Parlavano camminando verso il suo studio e quando furono dentro e, accertatosi che non ci fosse nessun altro, il ragazzo cambiò tono.
"Professore... ecco... c'è un'altra cosa che dovrei dirle".
"Si?". Ma aveva il cuore in gola. Che cosa aveva di così importante da dirgli?
"Ecco... Credo di aver capito che lei... insomma... che lei non è tipo all'antica... che è intelligente e che può riuscire a comprendere certe cose..."
"Allora? Parla tranquillamente. Che c'è che non va? Qualcosa di te o della tua famiglia che devo sapere?". L'ansia gli andava crescendo dentro.
"Vede... io sono omosessuale... e... come posso spiegarmi?...".
"Non capisco cosa centra la tua vita privata con la mia materia di insegnamento. Io non faccio distinzioni di questo tipo tra i miei allievi..."
"Mi sono innamorato di lei". Lo disse di colpo, un colpo che gli andò dritto allo stomaco. Non se lo aspettava. Ebbero bisogno ambedue di un attimo di silenzio per riprendersi.
Si rese conto del suo ruolo e delle regole sociali da rispettare e cercò di porre rimedio come poteva al turbinìo che gli era esploso dentro. "Io... non... io ti capisco. Può accadere, data la tua scelta sessuale, ma io sono etero...". Forse lo disse senza convincere neppure sé stesso. Le sue certezze si stavano rapidamente sgretolando. "...Sono sposato da trent'anni ed ho due figli più grandi di te..."
La sua lucidità ricomparve un attimo a suggerirgli che, forse, quel giovane lo stava facendo solo per avere una qualche facilitazione all'esame. Un modo originale per un uomo ma molto comune tra le ragazze senza troppi scrupoli.
Lo studente si mostrò deluso; forse si aspettava qualcosa di diverso. "Ok, professore, ma io sentivo il bisogno di dirglielo". Abbassò lo sguardo, si voltò e stava per andarsene con la coda tra le gambe.
Sarà stata la perdita così repentina della vista di quegli occhi o l'immagine di quel culetto così invitante in mezzo al quale avrebbe avuto voglia di mettere la sua di coda, sta di fatto che con un balzo lo superò ed andò a chiudere la porta dello studio a chiave. Lo invitò con un gesto ad accomodarsi e lui si sedette sulla sedia di fronte.
"Non andartene: forse è meglio parlarne". Quegli occhi tornarono a posarsi su di lui ma per poco. Il ragazzo abbassò la testa e cominciò a piangere sommessamente.
"Dovevo dirglielo, capisce? Da quando l'ho vista la prima volta non mangio più, non dormo più e... beh... mi sego pensando a lei. Ma è giusto così, perché mi ero fatte troppe illusioni?"
"E poi io sono molto più grande di te..."
"Non me ne importa. Lei mi piace e basta! Che posso farci? Mi scusi" e riprese a piangere.
Gli tirò su la testa con la mano sotto il mento. Quel contatto gli trasmise tutta la sincerità di quel dolore. Quegli occhi che lo avevano ammaliato erano ora coperti di lacrime. Non poteva, non doveva esserne la causa. Provò tanta tenerezza per quel giovane che riteneva alle prime armi in campo sentimentale. Si avvicinò con la sedia. Gli dette un bacio sulla fronte. Poi ancora un altro. Poi fu inevitabile: scese e unì la sua con l'altra bocca. In breve la lingua si insinuò, le due lingue si unirono, le salive si fusero e fu un bacio lungo ed appassionato.
Lo abbracciò per come poteva, data la posizione, ed il giovane gli posò una mano sulla coscia. Di colpo la dolcezza di quelle giovani labbra fecero provare di nuovo al professore l'ebbrezza dell'amore. Abbrancò quella piccola testa nella sua grande mano ed affondò la lingua sempre più giù mentre... oddio... mentre la mano dell'altro andò a posarsi sul suo evidente gonfiore.
Si staccò rapidamente per evitare di venire subito nei pantaloni e si alzò. "No, non è possibile. Non è possibile".
"Ma io la amo", ribadì il giovane.
"Non ce la faccio più. Devo dirtelo. Anch'io ti amo. Sin dal primo momento. Anch'io. Adesso ne sono certo. Però non è possibile".
"Perché, perché non è possibile", mentre le lacrime tornavano a riaffiorare.
"Ma perché un amore ha bisogno di esprimersi sessualmente e... non è possibile".
"Perché? Io voglio darle tutto il mio corpo. Può usarmi come vuole per il suo piacere, per il suo godimento... che sarà anche mio".
"Ho sempre desiderato possedere un culo ma mia moglie... beh... lei non ha voluto mai darmelo..."
"Io glielo darò. Sarò io a darglielo", rispose orgoglioso.
"...Non ha voluto mai darmelo perché... beh, perché... ha paura del dolore... perché ce l'ho troppo grosso".
"A me non importa. Sono pronto a qualunque sacrificio per averla dentro di me. Nei miei sogni ho sempre desiderato di farmi scopare da un cazzo grosso ed ho anche sperato che lei ce lo avesse. Ed è così!", gli disse sorridendo felice e guardandolo dal basso, essendo ancora seduto.
Tornò a mettergli una mano sulla patta. Poi ci sfregò sopra la faccia cercando di addentare attraverso la stoffa il grosso tubo di carne che era dentro e che andava sempre più soffrendo la mancanza di spazio. Vi pose rimedio slacciando i bottoni e tirando giù la zip. Abbassò i pantaloni assieme alle mutande fino alle ginocchia. Il grosso cazzo gli si parò davanti duro e paonazzo. Era accompagnato sotto da due enormi coglioni e da due grandi cosce polpose frutto dei tanti anni di calcio esercitato in gioventù. Il tutto ricoperto da una fitto pelo scuro. Quell'uomo era particolarmente virile ed eccitante.
Non ebbe quindi alcuna remora ad aprire al massimo la bocca per cercare di prendere dentro il più possibile quella cappella vogliosa. Faceva di tutto per prendere più cazzo possibile ma non riusciva ad andare oltre la metà. Succhiava, leccava, soffocava per bagnare il più possibile di saliva quell'oggetto di piacere che tanto aveva desiderato. Il professore guardava in giù quella tenera bocca che lo stava facendo impazzire. Poi, bastò che il ragazzo guardasse in alto mentre continuava a pompare e che quei begli occhi si mostrassero carichi di sensualità che non resistette più.
Lo tirò su, lo girò facendolo appoggiare alla scrivania, gli tirò giù d'un colpo i pantaloni e le mutande, gli rimirò un attimo il bellissimo culetto sodo e coperto da una leggera peluria puberale, gli aprì le chiappette coi due pollici, puntò l'enorme attrezzo al buchino e "Lo vuoi veramente?".
"Si, sono suo", fu la risposta.
Spinse più forte possibile. Il ragazzo trattenne un urlo ma spinse il sedere indietro come ad incitarlo a proseguire. L'uomo gli mise una mano sulla bocca e, spinta dopo spinta, gli sfasciò l'ano e lo sfondò. Quando i gemiti di piacere sostituirono le grida contro il palmo di quella mano, lo prese per i piccoli fianchi e continuò a montarlo furiosamente fino all'inevitabile finale. Gli scaricò dentro una quantità incredibile di sborra, frutto di anni di attesa e di desiderio represso, accompagnando il tutto con un lungo e cupo rantolo animalesco. Non finiva più di sparargliela in corpo.
Accasciato sulla schiena dell'amante mentre, ancora ansimante, stava ridando il ritmo giusto al cuore ed al respiro, si rese conto di quanto aveva fatto e di come lo aveva fatto. Voleva scusarsi per quella ferocia che aveva usato, non era da lui, e poi con un cazzo come il suo, quando...
"Grazie, grazie, è stato bellissimo"
"Ti ho fatto male?" chiese ben sapendo già che era stato così.
"Si ma è così che lo sognavo. A lei è piaciuto?"
"Certamente cucciolo. Non hai sentito quanto mi hai fatto godere?"
"Oh si, mi sento la pancia piena".
L'uomo andò per sfilarsi, lentamente. "No, no, la prego, rimanga ancora un po' dentro. E' così grosso!"
Era vero. Si rese conto che non solo era ancora grosso ma anche abbastanza duro. Avrebbe potuto ricominciare a fottersi senza problemi quella tenera troia che gli aveva fatto perdere la testa ma non dovevano perdere altro tempo per non farsi scoprire. Dopo qualche secondo, quindi, lo tirò fuori. Fu seguito da un rivolo bianco che scese lungo le gambe del giovane.
Prontamente, dal cassetto della scrivania prese dei fazzolettini per pulirsi e per passarli all'altro che però li mise a tappare il buco spanato. "Voglio tenerla il più possibile dentro di me. Oddio quanto è largo e come brucia!".
Finita l'operazione e ricomposti nei pantaloni, il ragazzo lo abbracciò appoggiandogli la testa sul petto. "Grazie, professore: ha realizzato il mio sogno. Potrò rivederla... in privato?" gli chiese speranzoso.
Lui gli accarezzò la testa, con fare paterno. "Ma certo, caro. Anche tu hai realizzato un mio sogno. Ho una casa in campagna, ci potremmo passare un fine settimana, se puoi".
Gli rispose con un sorriso: "Certo che potrò, anche questo venerdì e tutte le volte che vorrà. Ora sà che può sfogarsi con me anche tutti i giorni. Ora sono suo... tutto suo". Un ultimo bacio e riaprirono la porta. Si allontanò felice.
Di occasioni ce ne sono state tante ancora e tanti sono stati i fine settimana nei quali, nella loro alcova di campagna, il professore fece assaggiare la sua mazza al ragazzo in ogni modo possibile. Lo coprì e lo riempì di sperma fino all'inverosimile. Non credeva di poterne produrre ancora così tanta. Tutto merito di quei dolci occhi e, naturalmente, di quel buco voglioso.

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